25 Aprile 1945 – Le provocazioni e la guerriglia in paese iniziarono il 25 Aprile 1945, giorno della Liberazione, con l’uccisione di due militari repubblicani ed il ferimento di un terzo e si protrassero per tutta la giornata. Ma, durante la notte tra il 25 ed il 26, i partigiani assalirono il locale presidio tedesco, stanziato in parte nella vicina casa del fascio ed in parte nelle adiacenze della canonica, svaligiando autorimesse, depositi e magazzini ed inalberando la bandiera tricolore sulle scuole elementari e sulla stessa casa del fascio.
26 Aprile 1945 – La mattina del 26, con l’aiuto di altri compagni di lotta accorsi dai paesi limitrofi (in particolare dei “garibaldini” di Villa del Conte, guidati dal comandante “Vittorio”), alcuni uomini del pattuglione che teneva il centro del paese si diressero a villa “Custoza”, sul confine tra Camposampiero e Fratte, per trattare la resa di un piccolo ma munitissimo contingente di milizie naziste ivi alloggiato, ma, non riuscendo a spuntarla per l’energica opposizione del comandante germanico, che minacciava di fucilazione i propri soldati se si fossero arresi, dopo molteplici attacchi, durante i quali riuscirono a sequestrare alcune armi, a ferire e a disarmare un militare tedesco e ad ucciderne un altro (la qual cosa fu fatale per l’intero paese), desistettero dall’impresa, decidendo di piazzarsi sui punti strategici della zona, per fermare i mezzi delle truppe germaniche in rotta.
Nella stessa giornata, mentre dalla parte che prospettava villa “Custoza” infittivano gli scontri e gli uomini del presidio germanico non accennavano a capitolare, sebbene alcuni si fossero già dati alla fuga, il primo gruppo di partigiani, divenuto oramai padrone dell’abitato di Santa Giustina in Colle, respingeva strenuamente un assalto proveniente dal presidio nazista di Villa del Conte: una ventina di tedeschi, infatti, armati di mitragliatrici, giunta su un motocarro a breve distanza dal centro paesano, tentava di prendere i partigiani alle spalle. La mossa strategica fallì e gli aggressori ebbero due feriti. Ma non era ancora conclusa questa operazione, quando arrivarono in paese, provenienti dal fronte, numerosi altri tedeschi. I “ribelli”, allora, dopo averli accerchiati, ne catturarono una cinquantina e li disarmarono, recuperando camions, automobili, motociclette ed altro materiale in loro possesso. Poi, in preda all’euforia, alcuni di loro si diedero a scrivere sui muri delle case slogan e minacce di questo genere: “Morte a Hitler! Abbasso i tedeschi!”. Verso le 13.00, una quindicina di partigiani, appostati sul ponte del Vandura, si vide improvvisamente venire addosso una macchina ad alta velocità, con a bordo alcuni fascisti che sparavano all’impazzata. I “patrioti”, allora, gettate le armi nel canale, si diedero a precipitosa fuga.
Intanto, gli ultimi soldati di stanza a villa “Custoza” si preparavano a fare le valige: dopo molte ore di resistenza, aiutati da un gruppo di commilitoni provenienti su un camion da Camposampiero, in tarda serata abbandonarono le loro cose, comprese le armi pesanti. Non ebbero via di scampo, però, perché, di lì a qualche tempo, furono catturati, insieme con il loro comandante, sulla strada che porta ad Onara. Ma, per la comunità di S. Giustina in Colle, l’irreparabile era già accaduto: l’uccisione del soldato tedesco, avvenuta verso le 19.00 ad opera dei partigiani, scatenerà la rabbia dei nazisti che, la mattina seguente, metteranno in atto la più feroce rappresaglia.
27 Aprile 1945 - Durante la notte, i tedeschi e le brigate nere di Castelfranco Veneto e di Camposampiero si mossero per un’azione punitiva nei confronti delle formazioni partigiane locali. Alle prime luci dell’alba, alcune avanguardie motorizzate entrarono in paese, seguite quasi subito da piccoli nuclei di soldati. I “patrioti” accerchiarono una trentina di militari e li fecero prigionieri. Arrivò, di lì a poco, anche un camion carico di tedeschi in ritirata. Quando il mezzo giunse a breve distanza dal centro abitato, i partigiani l’attaccarono colpendolo alle gomme e al motore, mentre le SS che si trovavano a bordo balzarono a terra, abbandonando le armi e lanciandosi per la campagna: un commilitone, però, non facendo in tempo a fuggire, venne catturato. Credettero, i partigiani, d’aver finalmente liberato il paese e, quindi, decisero d’andare a riposare, lasciando a guardia del presidio una trentina di compagni di battaglia.
Verso le 10, comparve un camion-cucina a rimorchio, a bordo del quale c’erano otto tedeschi ed una loro collaborazionista, la fanatica Ada Giannini, di origini toscane. I partigiani accerchiarono anche questo mezzo. I soldati germanici, dopo aver tentato una debole quanto inutile resistenza, vennero catturati con la donna; ma, mezz’ora più tardi, all’improvviso, più di cento SS, in divisa e in borghese, fino allora sparpagliate per la campagna circostante e nascoste tra la vegetazione, armate di mauser, mitragliatrici e bombe a mano, piombarono sul paese. Scoppiò la rivolta: i partigiani da una parte e i tedeschi dall’altra. E, nello scontro che seguì, il vice-comandante dei resistenti, Fausto Rosso, venne ferito gravemente al ventre e trasportato dai suoi compagni in canonica, dove Marianna Giacomelli (“Paolina”), sorella del cappellano, si prodigò per assisterlo e curarlo. I tedeschi, intanto, avevano il sopravvento e, liberati i loro compagni e la donna, distrussero tutti gli automezzi a portata di mano e cominciarono a penetrare, a piccoli drappelli, nelle case di Santa Giustina in Colle, predandole e lasciandole quasi in miseria: a guidarli fu la stessa donna, da poco liberata. Iniziarono, quindi, a malmenare e a spingere fuori dalle abitazioni gli uomini sospettati d’appartenere alle formazioni partigiane.
L’eccidio – Sulla tarda mattinata, bussarono in canonica: vennero ad aprire l’arciprete don Giuseppe Lago e il cappellano don Giacomelli, fino allora impegnati ad assistere il giovane Fausto Rosso. Fu la loro fine: colpiti ripetutamente al volto con il calcio dei fucili, vennero trascinati sul sagrato della chiesa, dove si trovavano già ammassati altri 40-50 uomini, fermati appunto lungo la strada o fatti uscire a forza dalle case.
Passate da poco le tredici, aveva inizio la carneficina, portata a termine da una sola SS che, tra un’esecuzione e l’altra, pare si fumasse una sigaretta. L’arciprete, richiesto dai condannati a morte, impartì l’assoluzione sacramentale, che ricevette a sua volta dal cappellano. La prima vittima fu, forse, Leone Mario Zocca-rato, di San Giorgio delle Pertiche, che s’era trovato casualmente a S. Giustina insieme con il com-paesano Angelo Munaro, anch’egli assassinato. La stessa sorte toccò a tutti gli altri: don Giacomelli ricevette tre rivoltellate alla testa, mentre sua sorella, costretta fino a quel momento a cuocere le uova per i tedeschi, implorava inutilmente la grazia; dopo di lui, ultimo, don Lago: vistosi solo davanti al carnefice, istin-tivamente retrocedette; un solo colpo lo raggiunse alla bocca: cadde esanime sugli altri cadaveri accatastati.
L’esecuzione degli ostaggi sarebbe stata ultimata verso le 13.30, ma qualche fonte arriva fino alle ore 15.00, come il diario di Luigi Bragadin, testimone oculare scampato all’eccidio per miracolo, e la biografia di don Giuseppe Lago pubblicata da don Antonio Alessi. Gli autori di questi scritti, però, nel riportare l’ora del decesso delle vittime, furono forse preoccupati di far emergere non disinteressate coincidenze evangeliche. Gli episodi relativi ai menzionati fatti sono stati descritti, con dovizia di particolari, in due pubblicazioni dal giornalista-bibliotecario Enzo Ramazzina, edite dal Comune di Santa Giustina in Colle, con il contributo economico della Provincia di Padova, della Regione Veneto e della Cassa di Risparmio. La presente relazione è tratta, pressoché testualmente, dai suddetti libri.